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Il chirurgo ed i soldati trasportano il ferito nella stanza da letto.
SCENA V
CARLO Morir! Tremenda cosa! Sì intrepido, sì prode, ei pur morrà! Uom singolar costui! Tremò di Calatrava al nome. A lui palese n' è forse il disonor? Cielo! Qual lampo! S'ei fosse il seduttore? Desso in mia mano, e vive! Se m'ingannassi? Questa chiave il dica. Apre convulso la valigia, e ne trae un plico suggellato Ecco i fogli! Che tento! S'arresta E la fé che giurai? E questa vita che debbo al suo valor? Anch'io lo salvo! S'ei fosse quell' Indo maledetto che macchiò il sangue mio? . . . Il suggello si franga. Niun qui mi vede. No? Ben mi vegg'io! Getta il plico Urna fatale del mio destino, Va, t'allontana, mi tenti invano; L'onor a tergere qui venni, e insano D'un onta nuova nol macchierò. Un giuro è sacro per l'uom d'onore; Que' fogli serbino il lor mistero. Disperso vada il mal pensiero Che all'atto indegno mi concitò. E s'altra prova rinvenir potessi? Vediam. Torna a frugare nella valigia Qui v'ha un ritratto . . . Suggel non v'é nulla ei ne disse Nulla promisi s'apra dunque Ciel! Leonora! Don Alvaro è il ferito! Ora egli viva, e di mia man poi muoia!