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SCENA V Si muta la scena nella città di Roma. Ottavia, Nutrice. Ottavia imperatrice esagera gl'affanni suoi con la nutrice, detestando i mancamenti di Nerone suo consorte. La Nutrice scherza seco sopra novelli amori per traviarla da' cupi pensieri; Ottavia resistendo constantemente persevera nell'afflizioni.
OTTAVIA Disprezzata regina, Del monarca romano afflitta moglie, Che fo, ove son, che penso ? O delle donne miserabil sesso: Se la natura e'l cielo Libere ci produce, Il matrimonio c'incatena serve. Se concepiamo l'uomo, O delle donne miserabil sesso, Al nostr'empio tiran formiam le membra, Allattiamo il carnefice crudele Che ci scarna e ci svena, E siam forzate per indegna sorte A noi medesme partorir la morte. Nerone, empio Nerone, Nerone, marito, o dio, marito Bestemmiato pur sempre E maledetto dai cordogli miei, Dove, ohimè, dove sei ? In braccio di Poppea, Tu dimori felice e godi, e intanto Il frequente cader de' pianti miei Pur va quasi formando Un diluvio di specchi, in cui tu miri, Dentro alle tue delizie i miei martiri. Destin, se stai lassù, Giove ascoltami tu, Se per punir Nerone Fulmini tu non hai, D'impotenza t'accuso, D'ingustizia t'incolpo; Ahi, trapasso tropp'oltre e me ne pento, Sopprimo e seppelisco In taciturne angoscie il mio tormento.